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Sentenze della Corte di Giustizia dell'UE

IX COMMISSIONE (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI)

  • Data di assegnazione: 05/07/2024

    La Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che l'articolo 3 della direttiva 2000/31/CE va interpretato nel senso che uno Stato membro, allo scopo di garantire l'adeguata ed efficace applicazione del regolamento 2019/1150, non può imporre ai fornitori di servizi di intermediazione e di motori di ricerca online stabiliti in un altro Stato membro misure ai sensi delle quali essi siano obbligati, a pena di sanzioni, a iscriversi in un registro tenuto da un'autorità del primo Stato membro, a comunicare a quest'ultima una serie di informazioni dettagliate sulla loro organizzazione e a versare alla stessa un contributo economico.

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  • Causa n.: C-204/23
    Data di assegnazione: 17/05/2024

    Con sentenza del 25 aprile 2024 nella causa C?204/2023 (Autorità di regolazione dei trasporti contro Lufthansa Linee Aeree Germaniche, Austrian Airlines, Brussels Airlines, Swiss International Air Lines Ltd, Lufthansa Cargo, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri), la Corte di giustizia dell'UE ha chiarito che l'articolo 11, paragrafo 5, della direttiva 2009/12/CE concernente i diritti aeroportuali, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in virtù della quale il finanziamento dell'autorità di vigilanza indipendente è garantito mediante l'imposizione di un contributo, a carico degli utenti degli aeroporti anche se:

    -       l'ammontare del contributo non sia correlato al costo dei servizi forniti da tale autorità, purché tale normativa sia conforme ai principi generali del diritto dell'Unione, di proporzionalità e di non discriminazione;

    -       gli utenti degli aeroporti non sono stabiliti nello Stato membro cui appartiene tale autorità o non sono costituiti secondo la legge del medesimo Stato.

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  • Causa n.: C-255/21
    Data di assegnazione: 21/02/2024

    Con sentenza del 30 gennaio 2024 nella causa C?255/21 (Reti Televisive Italiane SpA (RTI) contro Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCOM), la Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che l'articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2010/13/UE (relativo alle percentuali di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita ammissibili in determinate fasce orarie) deve essere interpretato nel senso che la nozione di «annunci dell'emittente relativi ai propri programmi» (esenti dalle predette limitazioni percentuali) non include gli annunci promozionali effettuati da un'emittente televisiva per una stazione radio appartenente al medesimo gruppo societario, salvo che i programmi oggetto di tali annunci promozionali siano qualificabili come «servizi di media audiovisivi» (dunque, scindibili dall'attività principale della stazione radio) e che l'emittente televisiva ne assuma la responsabilità editoriale.

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  • Causa n.: C-186/22
    Data di assegnazione: 21/12/2023

    Con sentenza del 19 ottobre 2023, C-186/22 (Sad Trasporto Locale SpA contro Provincia autonoma di Bolzano, nei confronti di Strutture Trasporto Alto Adige SpA A.G), la Corte di Giustizia dell'UE ha dichiarato che l'articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia deve essere interpretato nel senso che tale regolamento non si applica a un contratto misto di servizi pubblici di trasporto multimodale di passeggeri comprendente il trasporto con tramvia, funicolare e funivia, anche in un contesto in cui il trasporto su rotaia rappresenta la parte maggioritaria dei servizi di trasporto affidati in gestione.

    La Corte ha altresì dichiarato che l'articolo 107, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che non configura «aiuto di Stato la compensazione di obblighi di servizio pubblico erogata a un operatore interno nell'ambito di un'aggiudicazione diretta di un contratto di servizio pubblico di trasporto di passeggeri da parte di un'autorità competente a livello locale, calcolata sulla base dei costi di gestione che sono, da un lato, determinati tenendo conto dei costi precedenti del servizio reso dall'operatore uscente e, dall'altro, rapportati a costi o corrispettivi anch'essi relativi all'aggiudicazione precedente o, comunque, concernenti parametri standard di mercato riferibili alla generalità degli operatori del settore interessato. Ciò a condizione che il ricorso a siffatti elementi conduca alla determinazione di costi che riflettono quelli che un'impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi necessari al fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi.

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  • APAM Esercizio SpA
    contro

    APAM Esercizio SpA (C?68/21),

    Brescia Trasporti SpA (C?84/21),

    Causa n.: C-68/21
    Data di assegnazione: 29/11/2022
    Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull'interpretazione dell'articolo 3, punto 27, e degli articoli 10, 19 e 28 della direttiva 2007/46/CE, che istituisce un quadro per l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli e degli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE. Le domande sono state presentate nell'ambito di due controversie tra la Iveco Orecchia Spa e, rispettivamente, la APAM Esercizio Spa (C68/21) e la Brescia Trasporti Spa (C-84/21) in merito a due appalti pubblici aggiudicati da queste ultime. Con riguardo alla prima controversia, si ricorda che l'impresa pubblica di trasporto pubblico locale di Mantova, APAM, nel 2018 indiceva una gara per la fornitura di "ricambi nuovi originaIi Iveco o equivalenti per autobus", vinta dalla Veneta Servizi International Srl (VSI). Contro tale aggiudicazione la Iveco Orecchia, seconda classificata, presentava ricorso presso il Tribunale amministrativo della regione Lombardia, deducendo che la VSI avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara a causa dell'incompletezza dell'offerta da essa presentata, giacché non aveva prodotto i certificati di omologazione o di conformità dei propri ricambi, né i documenti tecnici la cui presentazione era prevista, a pena di esclusione, dal disciplinare, ma si era limitata a presentare una semplice autocertificazione della loro equivalenza, dichiarandosi fabbricante e costruttore dei ricambi, pur essendo un mero commerciante di questi ultimi. Avendo ritenuto sufficiente la presentazione di una simile certificazione, il giudice amministrativo respingeva il ricorso. La Iveco Orecchia proponeva dunque appello contro tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato. Quanto ai fatti di cui alla seconda controversia, l'impresa pubblica di trasporto pubblico locale di Brescia, la Brescia Trasporti, nel 2018 indiceva una procedura di gara per la "fornitura di ricambi autobus di marca Iveco e con motore Iveco", aggiudicando il relativo appalto alla VAR Srl. Anche in questo caso, contro tale decisione la Iveco Orecchia, seconda classificata, presentava ricorso presso il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, ritenendo che la VAR avrebbe dovuto essere esclusa dal bando di gara a causa dell'incompletezza dell'offerta presentata, non avendo fornito, per i pezzi di ricambio di qualità equivalente proposti, certificati del costruttore che ne attestassero l'equivalenza. A fronte del rigetto di tale ricorso, la Iveco Orecchia proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato. Nel riconoscere che il principio secondo cui, nell'ambito di una gara d'appalto, sono ammessi prodotti equivalenti è volto a salvaguardare la libera concorrenza e la parità di trattamento tra gli offerenti, ma rilevando anche che la vendita di ricambi soggetti ad omologazione, soprattutto se possono compromettere la sicurezza dei veicoli o le prestazioni ambientali, sarebbe consentita solo se gli stessi sono stati omologati ed autorizzati dall'autorità di omologazione, il Consiglio di Stato ha riscontrato che, nelle procedure di gara di cui ai procedimenti principali, la normativa menzionata nel bando e relativa alla documentazione che gli offerenti dovevano fornire avrebbe richiesto la produzione del certificato di omologazione, laddove tale omologazione fosse stata obbligatoria. Nel caso di specie, tuttavia, gli aggiudicatari degli appalti avrebbero fornito, e le amministrazioni aggiudicatrici avrebbero accettato, come prova alternativa dell'equivalenza agli originali dei componenti di ricambio offerti, una dichiarazione dell'offerente non corredata dal certificato di omologazione richiesto o da altra documentazione tecnica equipollente. Detto giudice ha quindi sospeso i due procedimenti principali e sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali, formulate in modo identico in ciascuno di essi.   Con la prima questione, suddivisa in due parti, il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l'articolo 10, paragrafo 2, l'articolo 19, paragrafo 1, e l'articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2007/46 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che un'amministrazione aggiudicatrice possa accettare, nell'ambito di una gara d'appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, un'offerta con cui vengono proposti componenti rientranti nell'ambito di applicazione degli atti normativi di cui all'allegato IV alla direttiva 2007/46, non accompagnata da un certificato che attesti l'omologazione di tali componenti di ricambio né da informazioni sull'effettiva esistenza di tale omologazione o se, in considerazione degli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25, una dichiarazione di equivalenza con i pezzi originali omologati, rilasciata dall'offerente, sia sufficiente a consentire l'accettazione in parola. In merito a tale primo profilo della questione, la Corte ricorda in particolare che l'obiettivo principale della legislazione in materia di omologazione dei veicoli è assicurare che i veicoli nuovi, i componenti e le entità tecniche immessi in commercio forniscano un elevato livello di sicurezza e di protezione dell'ambiente e che, mediante l'omologazione CE del componente, lo Stato membro interessato certifica, in base all'articolo 3, punto 5, della direttiva 2007/46, che tale componente è conforme alle disposizioni amministrative e alle prescrizioni tecniche pertinenti di tale direttiva e degli atti normativi elencati nei suoi allegati, confermando altresì che tale componente fornisce un elevato livello di sicurezza e di protezione dell'ambiente. Con riferimento alla seconda parte della prima questione, la Corte esplicita altresì le differenze tra le nozioni di "omologazione" e di "equivalenza": l'omologazione certifica, a seguito dei controlli appropriati effettuati dalle autorità competenti, che, per quanto riguarda un'omologazione CE di componente, un tipo di componente è conforme alle prescrizioni della direttiva 2007/46, comprese le prescrizioni tecniche contenute negli atti normativi di cui all'allegato IV a tale direttiva; la nozione di «equivalenza» non è definita dalla direttiva 2007/46 e designa, secondo il suo significato comune, la qualità di possedere lo stesso valore o la stessa funzione, ovverosia concerne la questione se un componente abbia le stesse qualità di un altro componente, a prescindere dal fatto che quest'ultimo sia stato o meno omologato. Ne discende che le prove di omologazione e quelle di equivalenza non sono quindi intercambiabili, dato che un componente di un tipo omologato può non essere equivalente al componente originale oggetto di una gara d'appalto. Secondo la Corte la direttiva 2014/25 non può prescindere dai requisiti imperativi imposti da altre norme del diritto dell'Unione in materia, segnatamente, di sicurezza e protezione ambientale, quali il requisito di omologazione stabilito, per questi medesimi motivi, dalla direttiva 2007/46. La Corte precisa altresì che la normativa sugli appalti non deve vietare l'applicazione della direttiva 2007/46 volta a garantire un elevato livello di sicurezza stradale, protezione della salute, protezione dell'ambiente, efficienza energetica e protezione contro gli usi non autorizzati. Ciò comporta che se la direttiva 2007/46 richiede, in considerazione di tali obiettivi, l'omologazione di taluni ricambi per veicoli, tale requisito diviene imprescindibile e non può essere eluso richiamandosi alla direttiva 2014/25. Le gare d'appalto in oggetto riguardavano la fornitura di componenti che potevano essere ricambi originali Iveco o equivalenti. La Corte afferma pertanto che i componenti contemplati dagli atti normativi di cui all'allegato IV alla direttiva 2007/46, che sono soggetti a un obbligo di omologazione, possono essere venduti o messi in circolazione solo se sono stati oggetto di una siffatta omologazione  Di conseguenza, per rispettare i requisiti imperativi stabiliti dalla direttiva 2007/46, poiché i componenti sono soggetti a un obbligo di omologazione, possono essere considerati equivalenti ai sensi dei termini delle suddette gare d'appalto solo i componenti che siano stati oggetto di una siffatta omologazione e che, quindi, possano essere commercializzati.   Con la seconda questione, il giudice del rinvio ha chiesto se gli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25 debbano essere interpretati nel senso che, alla luce della definizione del termine «costruttore» di cui all'articolo 3, punto 27, della direttiva 2007/46, essi ostano a che un ente aggiudicatore, nell'ambito di una gara d'appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, possa accettare, come prova dell'equivalenza dei componenti contemplati dagli atti normativi di cui all'allegato IV alla direttiva 2007/46 e proposti dall'offerente, una dichiarazione di equivalenza rilasciata dall'offerente stesso posto che quest'ultimo, pur autoqualificandosi come costruttore di tali componenti, è un mero rivenditore o un commerciante. La Corte ricorda il principio secondo cui l'ente aggiudicatore gode di un potere discrezionale nel determinare i mezzi che gli offerenti possono impiegare per provare tale equivalenza nelle loro offerte, ma detto potere dev'essere esercitato in modo tale che i mezzi di prova ammessi dall'ente aggiudicatore gli consentano effettivamente di procedere a una valutazione proficua delle offerte che gli vengono presentate e non vadano oltre quanto necessario per effettuare tale valutazione. Inoltre, secondo la Corte, per poter essere considerata un mezzo appropriato di prova, ai sensi della direttiva 2014/25, una dichiarazione di equivalenza deve provenire da un organo che sia in grado di garantire tale equivalenza, il che richiede che tale organo si assuma la responsabilità tecnica per i componenti di cui trattasi e disponga dei mezzi necessari per garantire la qualità di tali componenti. La Corte precisa che tali condizioni possono essere soddisfatte solo dal produttore o dal fabbricante di detti componenti. La Corte ricorda inoltre che, ai sensi della direttiva 2007/46, il termine costruttore è definito come la persona o l'ente responsabile, verso l'autorità di omologazione, di tutti gli aspetti del procedimento di omologazione e della conformità della produzione, precisando altresì che non è indispensabile che detta persona o ente partecipino direttamente a tutte le fasi di costruzione del veicolo, del sistema, del componente o dell'entità tecnica soggetti all'omologazione. La Corte conclude pertanto che, per poter essere considerato un mezzo di prova appropriato, nell'ambito di un bando di gara come quelli che hanno dato origine ai procedimenti principali, una dichiarazione di equivalenza di un componente deve provenire dal costruttore di tale componente, benché tale costruttore non debba necessariamente intervenire direttamente in tutte le fasi della costruzione di detto componente. Precisa poi che il fatto che un offerente produca pezzi di ricambio diversi da quelli oggetto della gara d'appalto in questione, che sia iscritto a una camera di commercio o che la sua attività sia stata oggetto di una certificazione di qualità, è irrilevante al fine di determinare se tale offerente possa essere considerato il costruttore dei componenti che propone nella sua offerta. Infine, secondo la Corte, la prova dell'equivalenza dei prodotti proposti da un offerente, rispetto a quelli definiti nelle specifiche tecniche figuranti nel bando di gara, deve già essere fornita nell'offerta; tale prova consente effettivamente all'ente aggiudicatore di procedere a una valutazione proficua delle offerte che gli vengono presentate. In base a tali argomenti, riunite le due cause, la Corte di giustizia ha pertanto dichiarato che: 1) l'articolo 10, paragrafo 2, l'articolo 19, paragrafo 1, e l'articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che istituisce un quadro per l'omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli (direttiva quadro), devono essere interpretati nel senso che ostano a che un'amministrazione aggiudicatrice possa accettare, nell'ambito di una gara d'appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, un'offerta con cui vengono proposti componenti rientranti in un tipo di componente contemplato dagli atti normativi di cui all'allegato IV alla direttiva 2007/46, non accompagnata da un certificato che attesti l'omologazione di tale tipo di componente né da informazioni sull'effettiva esistenza di tale omologazione, a condizione che tali atti normativi prevedano una siffatta omologazione. 2) gli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, devono essere interpretati nel senso che, alla luce della definizione del termine «costruttore» di cui all'articolo 3, punto 27, della direttiva 2007/46, ostano a che un ente aggiudicatore, nell'ambito di una gara d'appalto avente ad oggetto la fornitura di componenti di ricambio per autobus destinati al servizio pubblico, possa accettare, come prova dell'equivalenza dei componenti contemplati dagli atti normativi di cui all'allegato IV alla direttiva 2007/46 e proposti dall'offerente, una dichiarazione di equivalenza rilasciata dall'offerente stesso, quando quest'ultimo non può essere considerato come il costruttore di tali componenti. 
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  • APAM Esercizio SpA
    Causa n.: C-437/21
    Data di assegnazione: 29/11/2022

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione del diritto dell'Unione relativo all'attribuzione di contratti di servizio pubblico aventi ad oggetto servizi pubblici di trasporto marittimo veloce di passeggeri ed è stata presentata nell'ambito di una controversia che oppone la Liberty Lines SpA al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Italia) (in prosieguo: il «MIT»), in merito all'affidamento diretto del servizio di trasporto marittimo veloce di passeggeri tra il porto di Messina e quello di Reggio Calabria, nello stretto di Messina, alla società Bluferries Srl, senza previa indizione di una specifica gara.

     

    Quanto ai fatti all'origine del procedimento principale, si ricorda che il 31 gennaio 2015 il MIT indiceva una procedura aperta in vista dell'affidamento di un appalto avente ad oggetto il servizio di trasporto marittimo veloce di passeggeri attraverso lo stretto di Messina, fra il porto di Messina e il porto di Reggio Calabria, per una durata di tre anni, il quale veniva successivamente attribuito, sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, alla Ustica Lines SpA, divenuta poi la Liberty Lines. Il 24 giugno 2015 veniva concluso il relativo contratto, il quale prevedeva tra l'altro la possibilità per il MIT di prorogarne l'applicazione per un periodo di ulteriori dodici mesi a condizione della sussistenza della necessaria disponibilità finanziaria e della permanenza dell'interesse dell'amministrazione alla prosecuzione del servizio. Il 14 settembre 2018, la Liberty Lines informava il MIT che detto contratto sarebbe presto arrivato a scadenza, precisando che, in mancanza di proroga dello stesso, detta società non avrebbe più effettuato il servizio in questione a partire dal 1° ottobre 2018. Il MIT non replicava a tale comunicazione ma, a partire da quest'ultima data, decideva tuttavia di affidare la prestazione del servizio in questione alla Bluferries, società interamente detenuta da Rete Ferroviaria Italiana (in prosieguo: «RFI»), già concessionaria di tale servizio sulla linea «Messina – Villa San Giovanni», sempre nello stretto di Messina, e questo senza che venisse esperita alcuna procedura di gara pubblica.

    La Liberty Lines contestava l'attribuzione dell'appalto in questione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il quale respingeva tale ricorso ritenendo, in sostanza, che la direttiva 2014/25/UE ed il regolamento n. 1370/2007 permettessero l'affidamento diretto di contratti di servizio pubblico per il trasporto ferroviario effettuato via mare, come quello in discussione nel procedimento principale, che per l'appunto avrebbe dovuto essere qualificato come servizio di trasporto ferroviario, la cui attribuzione non era assoggettata ad alcun obbligo di procedere ad una gara d'appalto.

    Secondo il TAR per il Lazio, la possibilità di qualificare il servizio di trasporto marittimo in questione come servizio di trasporto ferroviario sarebbe risultato dall'articolo 47, comma 11 bis, del decreto?legge n. 50/2017, ai sensi del quale «Al fine di migliorare la flessibilità dei collegamenti ferroviari dei passeggeri tra la Sicilia e la penisola, il servizio di collegamento ferroviario via mare di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e), del [decreto n. 138 T/2000], può essere effettuato anche attraverso l'impiego di mezzi navali veloci il cui modello di esercizio sia correlato al servizio di trasporto ferroviario da e per la Sicilia, in particolare nelle tratte di andata e ritorno, Messina – Villa San Giovanni e Messina – Reggio Calabria, da attuare nell'ambito delle risorse previste a legislazione vigente destinate al Contratto di programma-parte servizi tra lo Stato e la società Rete ferroviaria italiana Spa e fermi restando i servizi ivi stabiliti».

     

    La Liberty Lines ha, pertanto, interposto appello contro tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato, facendo valere, segnatamente, la mancanza di un'urgenza che giustificasse il ricorso nel caso di specie ad un affidamento diretto, dato che era stato proprio il MIT a creare la situazione controversa nel procedimento principale astenendosi dal prorogare il contratto o dall'indire una pubblica gara, nonché il fatto che il servizio di trasporto marittimo in questione non poteva essere equiparato a un servizio di trasporto ferroviario, in quanto la Bluferries utilizzava degli aliscafi, vale a dire navi prive degli impianti necessari per il trasporto di vagoni ferroviari.

    Ad avviso del Consiglio di Stato, l'articolo 47, comma 11 bis, del decreto?legge n. 50/2017 produce anzitutto l'effetto di escludere, in maniera ingiustificata e senza alcuna motivazione adeguata (in particolare per quanto riguarda la verifica dell'esistenza di un «fallimento del mercato»), l'attribuzione del servizio di trasporto marittimo veloce di passeggeri in discussione nel procedimento principale dall'ambito di applicazione delle norme disciplinanti gli appalti pubblici, e ciò in violazione del regolamento n. 3577/92. La disposizione sembrerebbe, poi, concedere a RFI, in quanto società che gestisce l'infrastruttura ferroviaria nazionale, un diritto speciale od esclusivo di gestire questo servizio di trasporto, il che potrebbe dar luogo, sempre a favore di RFI, a una misura costituente un aiuto di Stato, che falsa o minaccia di falsare la concorrenza.

    Alla luce di tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

    «Se osti al diritto dell'Unione, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell'ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma come l'articolo 47, comma 11 bis, del [decreto?legge n. 50/2017], che:

    –        equipara o quanto meno consente di equiparare per legge il trasporto marittimo veloce passeggeri tra il porto di Messina e quello di Reggio Calabria a quello di trasporto ferroviario via mare tra la penisola e la Sicilia, di cui alla lettera e), dell'articolo 2, del [decreto n. 138 T/2000];

    –        crea o appare idonea a creare una riserva in favore di [RFI] del servizio di collegamento ferroviario via mare anche attraverso l'impiego di mezzi navali veloci tra la Sicilia e la penisola [italiana]».

     

    La Corte di giustizia, ritenendo di non disporre degli elementi necessari a consentirle di pronunciarsi sulla seconda parte della questione, ha proceduto dunque ad esaminare la prima, rispetto alla quale ha rilevato anzitutto la necessità di identificare negli articoli 1, paragrafo 1, e 4, paragrafo 1, del regolamento n. 3577/92 le disposizioni del diritto dell'Unione ritenute dal giudice del rinvio suscettibili di opporsi alla disposizione nazionale evocata nella questione medesima.

    Il giudice dell'Unione ha osservato che le norme in materia di appalti pubblici non sono identiche a seconda che si tratti di servizi di trasporto pubblico di passeggeri via mare oppure di servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia, perché soltanto per i contratti di servizio pubblico di trasporto per ferrovia (ad eccezione di altre modalità di trasporto ferroviario, quali metropolitana e tram) l'articolo 5, paragrafo 6, del regolamento n. 1370/2007 autorizza, a determinate condizioni, un affidamento diretto, vale a dire senza che sia previamente esperita una procedura di gara. L'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 3577/92, invece – in virtù del quale uno Stato membro può concludere contratti di servizio pubblico con le compagnie di navigazione che partecipano ai servizi regolari da e verso le isole o imporre loro obblighi di servizio pubblico come condizione per la fornitura di servizi di cabotaggio –, esige che uno Stato membro, se conclude contratti di servizio pubblico o impone obblighi di servizio pubblico, lo faccia su base non discriminatoria nei confronti di tutti gli armatori dell'Unione e, al contrario del regolamento n. 1370/2007, non prevede alcuna possibilità di affidamento diretto.

    Pertanto, dato che gli Stati membri, ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, seconda frase, del regolamento n. 1370/2007, possono applicare quest'ultimo al trasporto pubblico di passeggeri per via navigabile soltanto lasciando impregiudicate le disposizioni del regolamento n. 3577/92 (le cui disposizioni, dunque, in caso di conflitto sono destinate a prevalere), i contratti di trasporto pubblico di passeggeri per via navigabile non possono essere conclusi senza che sia previamente esperita una procedura di gara, in conformità a quanto previsto da quest'ultimo regolamento.

    Da ciò discende l'inammissibilità di una misura nazionale che proceda a una riqualificazione di taluni servizi senza tener conto della natura reale di questi ultimi e che porti a sottrarli all'applicazione delle norme ad essi applicabili, specialmente qualora a una tale riqualificazione possa conseguire un affidamento diretto di tali servizi, senza esperimento di una gara pubblica, che sarebbe altrimenti richiesta.

    Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) ha dichiarato che: il regolamento (CEE) n. 3577/92 del Consiglio, del 7 dicembre 1992, concernente l'applicazione del principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi all'interno degli Stati membri (cabotaggio marittimo), e in particolare l'articolo 1, paragrafo 1, e l'articolo 4, paragrafo 1, di tale regolamento, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale che abbia lo scopo di equiparare dei servizi di trasporto marittimo a dei servizi di trasporto ferroviario, qualora tale equiparazione abbia l'effetto di sottrarre il servizio in questione all'applicazione della normativa in materia di appalti pubblici ad esso applicabile.

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